di Alberto Nicoletta
In Italia risiedono quasi 282.000 cinesi di cui la maggior parte sono residenti in Lombardia, rappresentano il 5,6% della popolazione straniera presente sul nostro territorio ma i veri numeri, considerato l’ alto tasso di clandestini e l’ elusività degli immigrati cinesi, non è possibile ottenerlo.[1] Tuttavia sappiamo che nell’ ultimo decennio l’ immigrazione cinese in Italia è triplicata e il numero delle attività commerciali gestite da cinesi è cresciuto del 232% dal 2003 ad oggi.
La prima comunità cinese in Italia si instaura a Milano e Roma tra gli anni ‘20 e ’30, poi a Firenze negli anni ’80 e a Prato negli anni ’90, il primo flusso parte dalla regione dello Zhejiang area economicamente incentrata sull’ artigianato e sull’ agricoltura. Flussi successivi partiranno dalle regioni del Sud-Est della Cina, ovvero il Fujian e il Guangdog, i cui litorali storicamente hanno sempre ospitato porti aperti al commercio occidentale, questo ha rappresentato per molti cinesi il trampolino di lancio verso l’ Europa; in tempi più recenti si è aggiunto anche un flusso di immigrazione dalla Manciuria caratterizzato da cinesi meno propensi ai ritmi lavorativi degli abitanti del Sud della prima generazione di immigrati. L’ emigrazione dalla Cina a differenza delle altre a cui stiamo assistendo, non parte dalla aree più povere ma da quelle più dinamiche che si sono arricchite prima e che hanno avuto un’ apertura verso l’ estero grazie alle posizioni geografiche vantaggiose. Giungono perciò in Italia per aumentare le loro condizioni economiche, senza per questo provenire da aree di povertà estrema, aprono attività, ristoranti, laboratori, imprese di import-export solitamente a conduzione familiare, ed è proprio la rete dei parenti che da il supporto economico a queste imprese. La crisi del settore delle confezioni e pelletteria, settori fin da subito predati dagli immigrati cinesi, ha permesso una maggior facilità nel recuperare laboratori e macchinari inutilizzati a basso prezzo, ciò ha permesso lo sviluppo di migliaia di piccole imprese. I cinesi pertanto svolgono per lo più un’ esistenza dedita allo sviluppo delle loro economie, è soprattutto la prima generazione che si serra in scantinati lavorando giorno e notte ma laddove è possibile, molti giovani lasciano rapidamente la scuola e seguono la strada della prima generazione di immigrati; in altre città italiane invece dove non hanno una presenza radicata, molti ragazzi riescono ad integrarsi sentendosi a tutti gli effetti Italiani. Per loro imparare l’ italiano non è facile perché il mandarino è una lingua alfabetica e non basata sugli ideogrammi, questo aumenta l’ isolazionismo delle comunità cinesi. Va aggiunto che in Cina esistono 56 etnie differenti che come lingua ufficiale hanno il mandarino ma mantengono dialetti e tradizioni differenti, rendendo difficile la comprensione socio-linguistica anche fra di loro. Notiamo pertanto un forte attaccamento presso i cinesi alle loro tradizioni, tale forte identità culturale ha permesso una forza maggiore per insediarsi nella realtà economica italiana, l’ Italia appunto è tra i Paesi del Sud Europa quello con il più alto numero di immigrati dalla Cina. Il lavoro in nero dei cinesi non viene certo accolto positivamente ma va detto che le condizioni lavorative a basso prezzo che offrono, hanno permesso ad alcune ditte italiane di reggere alla competizione con paesi con un basso costo della manodopera, tuttavia non per tutte è stato così. La Cina con i suoi prodotti a basso costo (scarpe, abbigliamento intimo, occhiali, ecc…) entrati sulle nostre piazze commerciali dopo il 2005, ha messo in crisi parte del sistema industriale portando a una riduzione dei posti di lavoro. Come risposta alcune ditte italiane hanno cercato di evitare di produrre in Cina badando alla forza del proprio “brand”, producono in altri Paesi ma temono sempre le contraffazioni. Altre aziende hanno deciso di sfruttare i bassi costi offerti dalla manodopera cinese e l’ alto numero di ore lavorative per produrre interamente i loro prodotti in Cina, tuttavia questa scelta non pare abbia dato enormi vantaggi e le aziende italiane stabilmente inserite in Cina si trovano in una difficile competizione contro i colossi cinesi. Altre imprese italiane invece hanno puntato sulla qualità del “Made in Italy”, decidendo di produrre per intero in Italia e valorizzando quindi il prodotto, manodopera specializzata e innovazione del resto sono alla base del successo della moda italiana nel mondo.
Dobbiamo tuttavia riflettere sul fatto che è stato l’ Occidente a permettere alla Cina di divenire una potenza economica, ad oggi molti nostri ingegneri, tecnici e specialisti di vari settori vanno a lavorare in Cina per diversi anni o per sempre, in parallelo altri lavorano nelle nazioni occidentali di appartenenza ma sempre per compagnie cinesi. I prodotti importati dalla Cina sono arrivati nei nostri negozi grazie a un’ apertura voluta del governo italiano (e dell’ Europa) che ad oggi non tutela del tutto i marchi dei nostri migliori prodotti con leggi ad hoc. La conseguente delocalizzazione delle imprese è permessa da uno stato che non ha il minimo controllo su di esse e neanche le aiuta quando sono in difficoltà (come ai tempi dell’ IRI), fomentando la massa di disoccupati. L’Italia pertanto e l’ Europa sono entrate in competizione col colosso cinese, il che vuol dire che il popolo italiano se vuole sopravvivere deve lavorare almeno tante ore come i cinesi ed a stipendi da fame … la ”cinesizzazione” dell’ Italia quindi non avviene solo con l’ immigrazione ma anche con l’ economia!
Le nazioni asiatiche e la Cina con esse, stanno tornando ad avere quel peso economico, politico, culturale e militare che per secoli hanno avuto nella storia dell’ umanità; il processo evolutivo di tali civiltà non è stato bloccato dall’ occidente che anzi tramite l’ Inghilterra dopo la guerra dell’ Oppio lo ha incalzato.
Altro problema annoso inseritosi con l’ immigrazione cinese è il crimine organizzato, secondo il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho «la criminalità cinese, come quelle albanesi e romene, comincia a profilarsi come organizzazione mafiosa sul territorio italiano». La mafia cinese è ben organizzata, usa efficaci e invisibili strategie più che visibili violenze, si occupa di : contraffazione, usura, droga, gioco d’ azzardo e prostituzione, quest’ ultima attività risulta particolarmente diffusa tra le immigrate dalla Cina.[2] La mafia cinese è considerata come la quinta mafia in Italia, tiene buoni rapporti commerciali con le organizzazioni malavitose italiane soprattutto con la Camorra, oltre alle solite attività criminali si dedica all’ acquisto di esercizi commerciali con soldi riciclati, all’ interno delle quali inseriscono personale taglieggiato e costretto a lavori gravosi e umilianti. La mafia cinese, come si è notato nel recente blitz contro il capo dei capi svoltosi a Prato, dall’ Italia tiene svariati contatti a livello transazionale muovendo forti somme di danaro sporco da riciclare in imprese “pulite”; tale regalo dell’ immigrazione si va solo ad aggiungere alle altre realtà del crimine organizzato che oramai spopolano in Italia ! La risposta è stata quella di accettare su suolo nazionale poliziotti cinesi (è avvenuto anche lo scambio contrario) per la sicurezza dei turisti nei periodi caldi, tuttavia questa partnership ad oggi ben accolta potrebbe tramutarsi in qualcosa di più impegnativo in futuro…
La Cina non sta invadendo l’ Italia solo con immigrati e mafia ma anche con i capitali… secondo la rivista Bloomberg nel 2010 gli investimenti cinesi in Italia arrivavano intorno ai 14 milioni di dollari ma nel 2014 era già catapultati a 4,9 miliardi di dollari, secondo il 24 Ore arriveranno nel 2015 a 7,8 miliardi di dollari, ad oggi si sono superati gli 11 miliardi di dollari. Importanti società cinesi sono entrate nelle quote di marchi italiani come Salov, Krizia, Buccellati, MCM, Pirelli, FC Internazionale ma anche l’ acquisizione nel 2012 di Ferretti e gli interessi su TIM, Generali, Mediobanca, Intesa, Unicredit, Eni, Enel, Fiat e Prysmian.[3]
Queste operazioni permettono di incrementare la partnership italo-cinese, favorendo lo scambio tecnologico al fine di creare nuovi prodotti e permettendo all’ Italia di entrare in un mercato internazionale, dove concorrere contro certi colossi non risulta facile. A tal scopo la Camera di Commercio Italo-Cinese ha elaborato la “Guida per gli investimenti cinesi in Italia” [4] al fine di indirizzare la seconda economia mondiale sulle speculazioni nel Bel Paese, Pechino ha subito mostrato interesse per la tecnologia italiana, del resto la Cina è una grande produttrice industriale e pertanto ghiotta delle capacità italiane che vanno a lenire certe sue inefficienze nel settore tecnologico-scientifico; ma vi è interesse anche nei settori : della moda, dello sport, del settore immobiliare di lusso ed alberghiero, brevetti, marchi, società.
Gli investimenti dei cinesi in Italia sono frutto di una strategia dettata dalle multinazionali volonterose di entrare sempre più nei mercati internazionali, investendo in Italia possono apprendere le attitudini tipicamente italiane per poi riproporle in patria e divenire più competitivi; l’ Italia anziché chiudere le porte a Pechino, serrata nella morsa di una crisi che già dal 2002 andava prospettandosi, minacciata dai finti alleati dell’ UE che Le navigano sempre contro… ha risposto, più di altre realtà occidentali, con una forte apertura alla Cina. Questo ha favorito gli imprenditori cinesi e ha dato ossigeno all’ imprenditoria italiana dilaniata dalla crisi.
Ma il problema è che l’ Italia si ritrova sempre in queste trappole economiche… costretta a guardarsi le spalle dai suoi piccoli (ma convinti di essere grandi) vicini europei, occupata dagli stritolatori economico-militari statunitensi, si ritrova costretta a provare la “via della seta” abbracciando Pechino; la Cina in futuro come già ora avviene utilizzerà questo know-how contro l’ Italia stessa ! Fintanto che l’ Italia avrà ancora qualcosa da svendere e regalare, riuscirà a barcamenarsi tra crisi e difficoltà svendendosi a qualche superpotenza, tuttavia il gioco arriverà alla parola fine e per gli Italiani stanchi, sfruttati e frustrati non rimarranno possibilità.
La Cina dimostra quindi un’ alta capacità di penetrazione in Italia, sviluppata anche grazie alle sue forze armate, difatti a luglio del 2017 si è assistito a un’ esercitazione congiunta Italia-Cina anti-pirateria nel Mediterraneo. Sempre l’ anno scorso si è vista poi per la prima volta la presenza della flotta cinese presso il porto del Pireo in Grecia, nazione quest’ ultima fortemente concatenata commercialmente con la Cina. Con questa manovra i cinesi danno inizio alla loro strategia commerciale presso punti nevralgici del Mediterraneo, dove i porti delle nazioni europee indeboliti dalle politiche di Bruxelles necessitano dell’ economia cinese e chiaramente la cosa riguarda anche l’ Italia [5]. Come ha dichiarato a maggio 2017 il premier Paolo Gentiloni, saranno Trieste e Genova le due città a ospitare in Italia gli scali marittimi cinesi, che vanno a completare la “via della seta”, passando dal Sud-Est Asiatico all’ India e arrivando fino al Mar Rosso (e passando pertanto da Gibuti dove sorge la prima base militare all’ estero della Cina), entra così nel Mediterraneo.
Ma non è solamente con il trasporto marittimo che la Cina guarda all’ Italia, difatti sta vagliando la possibilità di collegarsi tramite ferrovia alla città di Milano protagonista di importanti investimenti con Pechino (H3g, Milan, Inter…), l’ Italia verrebbe pertanto assorbita in una importante rete ferroviaria della YuXinOu, che partendo da Chongqing (nel sud-est della Cina) passa per il Kazakistan, Mosca e arriva in Germania, lo scalo italiano si collegherebbe da Varsavia.
Alla luce di queste considerazioni possiamo concludere dicendo che l’ Italia è oggetto di molte attenzioni da parte della Cina alcune ben visibili, altre strategicamente più elaborate, potremmo fino a mai sostenere che questi immigrati cinesi in qualche modo vengano etero diretti da Pechino in quanto complici di questa strategia mondialista. Anche se così non fosse, senz’ altro una così corposa presenza di immigrati cinesi nel mondo occidentale può solo favorire la Cina, aprendo nuove strade commerciali, consentendo di esportare competenze in patria, magari anche supportare una rete informativa per i potenti servizi segreti cinesi, diventa fondamentale pertanto analizzare i flussi migratori e i rapporti transnazionali in un quadro più ampio, al fine di sfruttare le strategie dell’ alleato-nemico e non di trovarsene succube come già avvenuto con gli Stati Uniti.
Fonti :
[1] https://www.tuttitalia.it
[2] http://www.lastampa.it/2018/01/19/italia/cronache/catturato-il-capo-della-mafia-cinese-gestiva-la-logistica-di-mezza-europa-o4MUiR2jsmxYVQTK3wDZkL/pagina.html
[3] https://www.agi.it/blog-italia/agi-china/gli_investimenti_cinesi_in_italia_quando_come_e_perch-1921222/news/2017-07-01/
[4] http://www.china-italy.com/it/guida-gli-investimenti-cinesi-italia-download
[5] http://www.occhidellaguerra.it/la-marina-militare-cinese-sbarca-nel-pireo/
https://www.ilfoglio.it/economia/2017/09/18/news/dove-il-dragone-ha-messo-le-mani-in-italia-152767/
https://arnonesicomo.it/news/61/investimenti-cinesi-italia
http://www.limesonline.com/rubrica/le-esercitazioni-cina-italia-nel-mediterraneo-e-il-treno-per-milano-luglio-lungo-le-nuove-vie-della-seta
Eurasia – rivista di studi geopolitici n° 4/2015 “Migrazioni” XL
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